Opera iconografica su San Francesco di Paola, per la collezione di Roberto Bilotti Ruggi D’Aragona.
Dati tecnici
Fotografia digitale
Stampa Giclée Fine Art su carta Hahnemuhle
Cornice* in legno con incisione “CHARITAS”
Dim: 110×70 cm
Ed.: 1/3 + 1 p.d’A
Esperienza
La proposta di realizzare un’opera su San Francesco di Paola, inizialmente è stata destabilizzante. Mai fino a quel momento avevo affrontato un lavoro iconografico così diretto, non uno stilismo sul tema “santità” portato nel contemporaneo ma la possibilità di realizzare un lavoro atto ad ampliare l’iconografia del santo, vincolata dagli elementi simbolo che lo caratterizzano.
Di San Francesco sapevo ben poco fino ad allora e scoprire lettura dopo lettura la sua potenza comunicativa e la magia che lo circondava è stato entusiasmante.
Sono qui a raccontare non la sua storia ma la mia esperienza che in qualche modo è stata mistica per due eventi che hanno segnato l’inizio e la fine del lavoro realizzato. San Francesco ha nella sua iconologia un bastone che lo identifica come eremita e la scritta “CHARITAS” che lo definisce come benefattore. La sua vita è stata piena di “miracoli” tanto da essere considerato santo in vita.
Partendo da questi elementi necessari ho deciso di affrontare il tema in maniera istintiva, senza pensare troppo a cosa avrei fatto, senza strutturare uno scatto fotografico pensato a tavolino. Ero in Sicilia in quel periodo, per una residenza di due mesi. Un giorno preso dai pensieri su San Francesco sono uscito per un’escursione in una zona collinare con l’idea di trovare un bastone che in qualche modo sarebbe stato funzionale al mio cammino e allo stesso tempo soggetto caratterizzante per l’opera da attuare. Ribadisco “trovare” e non cercare. L’intenzione e il pensiero sul santo furono gli unici elementi fondanti di quella mia passeggiata. Beh ho trovato il bastone, era lì sul mio percorso, né un passo in più ne uno in meno, lì tra i miei piedi mentre osservavo la vetta della collina. Un ramo di ulivo, dritto, ben essiccato, troncato nella parte alta di netto da qualche contadino in fase di potatura. Non ne avevo mai visto uno come quello, talmente perfetto che a farlo di proposito non sarebbe mai stato così. In qualche modo era avvenuto un “incontro”, avevo trovato un oggetto decisamente funzionale al momento e simbolo dell’intero lavoro che avrei realizzato.
L’istinto, i tempi dilatati, il pensiero ai segni, il silenzio, mi hanno accompagnato nelle fasi successive a quella giornata. Era nell’aria la voglia di mettere in pratica capacità, ricerca di stile, luci appropriate, voglia di scattare, ma ho rimandato, sempre a favore della naturalezza degli eventi, non volevo organizzare nulla, ero ancora meravigliato dalla bellezza dell’oggetto trovato per il quale ne è derivato rispetto, ammirazione, voglia di attendere. Così è stato e per giorni mi sono dedicato ad altri lavori sul territorio. La contemplazione è stata in leitmotiv di tutto il soggiorno siciliano, il contatto diretto con la natura, il respiro della terra, la bellezza della luce del giorno e della notte.
Un pomeriggio di quel febbraio, in piedi sull’uscio del palmento che mi ospitava, ho chiuso gli occhi e respirato quella Sicilia fatta di vigneti, uliveti e mandorli, e affascinato da un tramonto che si stava avvicinando, ho preso l’attrezzatura fotografica e ho deciso di uscire. Sull’ esterno della casa, appoggiato al muro c’era il bastone, lasciato lì per giorni al sole, l’ho preso e portato con me, senza pensarci troppo, sicuro che sarebbe stato un valido appoggio per la passeggiata. Mi sono diretto verso un bosco di mandorli, che in quei giorni era nel massimo della sua espressione estetica, alberi fioriti da poco ma con i petali già in caduta, un vero spettacolo in cui la terra chiara e secca era completamente coperta da un manto di fiori, stagliati a vista orizzonte i tronchi marrone scuro dei mandorli. Descriverlo è impossibile, sono troppi i fattori sensoriali che un testo mal riesce a riportare ma la magia di quel momento ha reso possibile lo scatto che a breve avrei concretizzato.
Arrivato nel campo ho piantato il bastone nel terreno per liberarmi una mano, la terra era soffice e non calpestata, sembrava di camminare su un enorme spugna schiumosa che passo dopo passo segnava il mio andare. Girando la testa con lo sguardo ho iniziato a cercare qualche scorcio interessante da riprendere, ma la luce iniziava ad essere molto fioca, il sole era ormai prossimo alla linea dell’orizzonte. Dopo pochi istanti voltandomi verso il bastone rimasto in piedi, un colpo di vento ha fatto scendere dall’albero a lui vicino una serie di petali e il “caso” ha voluto che uno dei pochi raggi di sole, si infiltrasse tra gli alberi creando un taglio di luce diretto su questa scena. Un nodo alla gola è sopraggiunto, verità o immaginazione. Avevo davanti a me quel ramo, immobile, illuminato e circondato di petali. La luce tutt’intorno era veramente magica, un rosa pallido a terra, un arancione nell’aria che scaldava la scena e il celeste-grigio del cielo ormai prossimo alla notte. Mi sentivo stregato, un senso di sospensione, di leggerezza. Ho impugnato la macchina fotografica, messa sullo stativo e atteso che qualcosa accadesse di nuovo. Ero certo che quello doveva essere il momento giusto. Una serie di raffiche di vento ha fatto scendere manciate di petali dall’albero, ero incredulo ma era tutto vero. Ho fatto vari scatti, una decina circa e tra questi ce n’è stato uno, quello scelto per l’opera presentata, “La sparizione”, di cui possiedo l’esatta ora di esecuzione, in cui il massimo dell’armonia è stata raggiunta. In quel momento ho provato un senso di benessere come poche volte nella mia vita, per suggestione o per realtà dei fatti, in quel momento ho sentito vicino San Francesco, tutto era in bilico e tutto irripetibile. Pochi istanti dopo il mondo si era spento, il sole era sceso oltre la terra, il vento si era calmato, il giorno era diventato notte.
Germano Serafini
Immagini: ©germanoserafini
*La cornice è stata realizzata da Romana Telai di Fausto Cantagalli